mercoledì 19 novembre 2014

Blog#nove: C'era una volta l'Ager Cuprensis

C’era una volta l’Ager Cuprensis

Alla scoperta di una tra le più floride colonie dell’antica Roma, ormai ridotta a piccolo paese di provincia.

Nel Bel Paese nessuno si stupisce più di vivere letteralmente sulle spalle della storia. Dalle Alpi al Meridione infatti il nostro territorio nazionale è il più ricco al mondo di reperti archeologici della civiltà romana. In questo articolo quindi si potrebbe parlare di Pompei o Ercolano, di Roma o di Ostia; tuttavia nelle Marche c’è un piccolo paese di pescatori chiamato Cupra Marittima che conserva nella storia della sua terra un passato romano non indifferente, anche se poco conosciuto.
Infatti, dopo la conquista del Piceno avvenuta da parte dei Romani nel 268 a. C., il territorio cuprense fu incorporato in una prefettura dell'agro romano. Cupra Maritima fu inclusa con Firmum e Falerio Picenus nella tribù Velina istituita nel 241 a. C. In questo modo nasceva l’ Ager Cuprensis, identificato poi in epoca augustea con la Regio V Picenum.
In questa zona l’insediamento urbano maggiore era quello di Cupra Maritima, di cui si hanno importanti resti archeologici che testimoniano la presenza di un’antica e florida colonia romana. Tra le aree più significative della città sono individuabili il bacino portuale, l’area delle ville suburbane, l'area sacra, il forum, e infine la necropoli.
Questa città era famosa in antichità per la produzione di olio, olive e commercio marittimo grazie al suo grande porto, fra i più importanti dell’Adriatico centrale (insieme ad Ancona). Infatti è proprio dal porto di Cupra che passavano molti commercianti diretti nell’entroterra marchigiano e da qui a Roma, oppure oltremare verso le coste illiriche; ancora oggi inoltre possiamo ammirare i resti di una struttura (denominati Mura Mignini) facente parte del grande complesso portuale.
La ricchezza di questa antica colonia è testimoniata anche dal ritrovamento di due strutture abitative di lusso: una villa con ninfeo e un edificio termale. Grazie poi a vari interventi di scavo è stato portato alla luce il calidarium con vasca dell’edificio termale ed ora sono quindi visibili porzioni di pavimenti a mosaico e suspensurae. Il ninfeo invece ha pianta quadrangolare, con vasca centrale, pareti decorate da nicchioni e affrescate con motivi a riquadri ed esedra centrale affrescata con scene marine.
Ma ciò che rese grande Cupra in epoca Romana non furono solo il commercio e la presenza in città di ricchi patrizi, ma anche e soprattutto il forte ruolo sacro che questa terra aveva sempre avuto. Infatti  Il nucleo primitivo è da identificare con il santuario della dea Cupra e la sua finalità era prettamente religiosa, senza sottovalutare quel ruolo politico svolto dal tempio come centro decisionale e d’incontro delle popolazioni picene.
L’Ager Cuprensis inoltre diede i natali a vari personaggi romani illustri. Uno fra questi fu Lucio Afranio (originario di Cossignano), fedele legato di Pompeo Magno, fu eletto console nel 60 a.C.. Tra gli altri troviamo anche Lucio Minucio Basilo, un eminente ufficiale di Cesare in Gallia e durante la guerra civile che divenne poi suo congiurato (fu anche amico e destinatario di alcune lettere di Cicerone). Inoltre era originaria dell’Ager Cuprensis anche la seconda moglie dell’imperatore Nerone, la bellissima Poppea. Infine si può ben ipotizzare un rapporto particolare con il Piceno da parte dell’imperatore Adriano in quanto, pur non essendovi nato, tale regione era comunque la terra di origine della sua famiglia.

Tutte queste informazioni sono state per molti anni raccolte ed approfondite da vari archeologi che hanno lavorato con zelo al fine di far conoscere ai cittadini il tesoro che si celava sotto i loro piedi. Per lo stesso motivo è stato creato nel 2012 il “Gruppo Storico Cuprense” che ogni anno a Luglio da vita ad una rievocazione storica (Artocria) riproducendo fedelmente usi e costumi del periodo romano e mostrando ciò che Cupra fu e che riecheggia ancora nella storia moderna.


Blog#otto: Dalle stelle alle stalle del Rap

Rap or Crap? Avete ancora qualcosa da dire?
"Era meglio prima"  cantava J-Ax nella sua omonima canzone.

            Ma quando diciamo "prima" a cosa facciamo riferimento? In genere pensiamo a quando il rap nacque come denuncia contro le ingiustizie sociali. Tuttavia siamo sicuri che quello che oggi definiamo "rap" sia proprio lo stesso genere musicale nato nella problematica America degli anni '70? 
            In quegli anni infatti la drammatica situazione di molti ragazzi dei ghetti (per lo più afroamericani) e quella di molti detenuti dei maggiori penitenziari, portò, spinta da un forte sentimento di sfogo, alla creazione di questa nuova forma d'arte. Ne conseguì soprattutto  la composizione di significativi brani di denuncia sociale su una base musicale ricca di suoni fortemente ritmati. Conseguentemente la relazione tra testo e ritmo risultava inscindibile, tant'è vero che il nome stesso del genere "Rap" -acronimo di "Rhythm and phrases"- spiega questo legame.
            In Italia questo genere approdò fra gli anni '80 e '90 ed ebbe subito fortuna  grazie ad esponenti del calibro di Neffa, Banda Bassotti e Bassi Maestro, appartenenti a quella che oggi possiamo definire la "Old School". Prerogativa fondamentale di questi artisti era quella di suscitare maggiore interesse in campo politico-sociale.
            Tuttavia, con il passare degli anni, questo genere musicale ha subito varie modifiche e manipolazioni che lo hanno avvicinato alla sfera consumistica della società moderna, facendogli perdere quello spirito di denuncia che lo caratterizzava intimamente. In questa nuova concezione troviamo artisti che, facendo leva sulla componente musicale, creano brani di grande tendenza ma dai contenuti alquanto superficiali e diseducativi. Di fatto questi testi affrontano temi che suscitano l'interesse fra i più giovani ma non offrono spunti critici o riflessivi, preferendo la banalità espressiva alla ricchezza dei contenuti. Per citarne qualcuno tra i più celebri, troviamo Emis Killa, Dargen D'amico e Rocco Hunt, artisti noti tanto per la loro grande popolarità quanto per la vanità dei loro testi.
            Bisogna però ricordare che in Italia il rap ha avuto migliore sorte con artisti che hanno preferito la sostanza dei contenuti al mero profitto. Importanti in questo caso sono le produzioni artistiche di rapper quali Caparezza, Nesli e Murubutu. Infatti esaminando le opere di questi cantanti troviamo un forte interesse per argomenti di carattere socio-politico (Caparezza e Nesli) e talvolta persino storico-letterario (Murubutu).  Questi artisti non sempre trovano grande diffusione commerciale ma, al fine di non perdere il loro spessore tematico, sacrificano la possibilità di ottenere una maggiore popolarità.
            Non sono stati dello stesso avviso altri rapper che, dopo aver esordito nello scenario musicale italiano con album di grande rilievo, hanno adattato la propria immagine alle esigenze del marketing, al fine di ottenere un maggiore guadagno. In questa categoria troviamo Fabri Fibra, Club Dogo e Salmo che pur avendo iniziato brillantemente la loro carriera si sono venduti alle grandi case discografiche.
            Analizzando queste considerazioni ci si accorge che la grande popolarità, tra i giovani, degli artisti così detti "commerciali" deriva dalla futilità della loro musica. Come mai i ragazzi delle nuove generazioni preferiscono riempirsi le orecchie di illusioni, non accorgendosi di quanto queste siano vane? Forse perché preferiscono un motivo di svago a una riflessione impegnativa. Tutto ciò ha portato ad una sorta di degrado ideologico che vede protagonisti i nuovi giovani, i quali piuttosto che sviluppare un proprio pensiero critico tendono ad assimilare tutti le stesse mode, omologandosi. 

Quindi Fedez esagera quando nel suo ultimo singolo, non a caso intitolato "Generazione Bho", li definisce "Generazione televoto coi cervelli sottovuoto"?