mercoledì 19 novembre 2014

Blog#otto: Dalle stelle alle stalle del Rap

Rap or Crap? Avete ancora qualcosa da dire?
"Era meglio prima"  cantava J-Ax nella sua omonima canzone.

            Ma quando diciamo "prima" a cosa facciamo riferimento? In genere pensiamo a quando il rap nacque come denuncia contro le ingiustizie sociali. Tuttavia siamo sicuri che quello che oggi definiamo "rap" sia proprio lo stesso genere musicale nato nella problematica America degli anni '70? 
            In quegli anni infatti la drammatica situazione di molti ragazzi dei ghetti (per lo più afroamericani) e quella di molti detenuti dei maggiori penitenziari, portò, spinta da un forte sentimento di sfogo, alla creazione di questa nuova forma d'arte. Ne conseguì soprattutto  la composizione di significativi brani di denuncia sociale su una base musicale ricca di suoni fortemente ritmati. Conseguentemente la relazione tra testo e ritmo risultava inscindibile, tant'è vero che il nome stesso del genere "Rap" -acronimo di "Rhythm and phrases"- spiega questo legame.
            In Italia questo genere approdò fra gli anni '80 e '90 ed ebbe subito fortuna  grazie ad esponenti del calibro di Neffa, Banda Bassotti e Bassi Maestro, appartenenti a quella che oggi possiamo definire la "Old School". Prerogativa fondamentale di questi artisti era quella di suscitare maggiore interesse in campo politico-sociale.
            Tuttavia, con il passare degli anni, questo genere musicale ha subito varie modifiche e manipolazioni che lo hanno avvicinato alla sfera consumistica della società moderna, facendogli perdere quello spirito di denuncia che lo caratterizzava intimamente. In questa nuova concezione troviamo artisti che, facendo leva sulla componente musicale, creano brani di grande tendenza ma dai contenuti alquanto superficiali e diseducativi. Di fatto questi testi affrontano temi che suscitano l'interesse fra i più giovani ma non offrono spunti critici o riflessivi, preferendo la banalità espressiva alla ricchezza dei contenuti. Per citarne qualcuno tra i più celebri, troviamo Emis Killa, Dargen D'amico e Rocco Hunt, artisti noti tanto per la loro grande popolarità quanto per la vanità dei loro testi.
            Bisogna però ricordare che in Italia il rap ha avuto migliore sorte con artisti che hanno preferito la sostanza dei contenuti al mero profitto. Importanti in questo caso sono le produzioni artistiche di rapper quali Caparezza, Nesli e Murubutu. Infatti esaminando le opere di questi cantanti troviamo un forte interesse per argomenti di carattere socio-politico (Caparezza e Nesli) e talvolta persino storico-letterario (Murubutu).  Questi artisti non sempre trovano grande diffusione commerciale ma, al fine di non perdere il loro spessore tematico, sacrificano la possibilità di ottenere una maggiore popolarità.
            Non sono stati dello stesso avviso altri rapper che, dopo aver esordito nello scenario musicale italiano con album di grande rilievo, hanno adattato la propria immagine alle esigenze del marketing, al fine di ottenere un maggiore guadagno. In questa categoria troviamo Fabri Fibra, Club Dogo e Salmo che pur avendo iniziato brillantemente la loro carriera si sono venduti alle grandi case discografiche.
            Analizzando queste considerazioni ci si accorge che la grande popolarità, tra i giovani, degli artisti così detti "commerciali" deriva dalla futilità della loro musica. Come mai i ragazzi delle nuove generazioni preferiscono riempirsi le orecchie di illusioni, non accorgendosi di quanto queste siano vane? Forse perché preferiscono un motivo di svago a una riflessione impegnativa. Tutto ciò ha portato ad una sorta di degrado ideologico che vede protagonisti i nuovi giovani, i quali piuttosto che sviluppare un proprio pensiero critico tendono ad assimilare tutti le stesse mode, omologandosi. 

Quindi Fedez esagera quando nel suo ultimo singolo, non a caso intitolato "Generazione Bho", li definisce "Generazione televoto coi cervelli sottovuoto"?

Nessun commento:

Posta un commento