L’ozio è visto da
molti in modo alquanto negativo, infatti è inteso dai più come quel sentimento
che porta l’uomo a perdere tempo, e poiché è ben noto che nella società moderna
il tempo è denaro, passare del tempo ad oziare è un atto, se non condannato,
quantomeno giudicato inutile dalla maggior parte delle persone. La stessa
enciclopedia Treccani.it ne fornisce la seguente definizione: “ozio - In
genere, astensione dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o
anche abitualmente, per indole pigra, indolente.”
Tuttavia per i greci
e i latini questo termine non aveva la stessa accezione negativa che lo
caratterizza oggi. Infatti sempre l’enciclopedia Treccani.it spiega che “Presso
gli antichi Romani otium era il tempo
libero dai negotia (le occupazioni
della vita politica e gli affari pubblici), dedicato alle cure domestiche e
della proprietà, oppure agli studi; da qui la parola passò a indicare
l’attività letteraria (otium litteratum).
Pertanto era l’altra faccia di quella medaglia che risultava essere la vita
quotidiana romana, divisa appunto fra occupazioni lavorative e tempo libero.
Tuttavia bisogna badare bene al fatto che il tempo libero dei latini era del
tempo speso per attività costruttive e quindi non propriamente riposo fine a se
stesso (come invece è più largamente inteso l’ozio in epoca moderna). Anche
Aristotele, nella sua Etica Nicomachea afferma
che “Se l’attività dell’intelletto, essendo contemplativa, sembra eccellere per
dignità e non mirare a nessun altro fine all’infuori di se stessa ed avere un
proprio piacere perfetto (che accresce l’attività) ed essere autosufficiente
[…] allora questa sarà la felicità perfetta dell’uomo, se avrà la durata intera
della vita.” Mettendo chiaramente in risalto un’attività dell’intelletto che si
mette all’opera procurando la felicità
all’uomo (in maniera però contemplativa, quindi in un modo più “statico”).
Questa concezione dell’otium degli
antichi è stata magistralmente teorizzata da Seneca che ne ha fatto l’argomento
principale per una sua celebre opera intitolata appunto De Otio che è stata materia del convegno “Seneca nella coscienza
dell’Europa”. Infatti il filosofo latino affermava che "La natura ci ha
generati per entrambi gli scopi, la contemplazione (contemplatio) e l'azione (actio)"
e che quindi l’equilibrio si trova solamente nel mezzo, senza preferire troppo
né l’otium né il negotium.
Nella società moderna
però questo equilibrio si è perso, in quanto sono sempre più tangibile nella
vita di tutti i giorni una frenesia ed una propensione senza dubbio maggiori
verso il lavoro e l’azione; ciò però va a discapito della contemplazione e di
vari processi costruttivi di carattere più introspettivo e spirituale che
puramente materialistico, i quali vengono erroneamente relegati alla sfera
dell’ozio. Pertanto si è persa la capacità di soffermarsi a pensare oppure di
dedicare del tempo alla riflessione, in quanto un atteggiamento del genere non
è conforme alla società in cui ci si trova ad operare, società che come già
detto, punta molto sull’actio a
discapito della contemplatio. Una
volta compreso il sistema sociale in cui ci si trova oggi, è facile capire come
l’ozio (sia nelle sue forme positive che in quelle negative) è in ogni caso
visto come una perdita di tempo, un impedimento inutile per l’economia della
società e dell’individuo stesso che, facendone inscindibilmente parte, si trova
per certi versi succube dei suoi meccanismi.
Pertanto quando
Tolstoj in Guerra e pace ammette che
“per le nostre qualità morali, non possiamo essere felici oziando.” risulta
essere sorprendentemente attuale.
Tuttavia se, come già
spiegato, l’ozio ha assunto sempre più un carattere negativo c’è un motivo che ci
viene ben spiegato nell’articolo del Corriere
salute intitolato “L’ozio vero padre dei vizi”. Nell’articolo infatti viene
spiegato come “l’arte del dolce far niente” possa avere conseguenze negative
sull’individuo e sul suo rapporto con la società. Infatti gli psicologi della Kansas State University e dell' University of West Florida hanno scoperto
che i giovani predisposti alla noia restano "indietro", e non poco,
in variabili importanti dello sviluppo psicosociale: dalla progettazione della
propria carriera alla creazione di un proprio stile di vita; dalle relazioni
con i pari all' autonomia emotiva e pratica; dal coinvolgimento nelle attività
di apprendimento fino all' assunzione di stili di vita salubri. Questa ricerca
è stata inoltre arricchita da una chiara ed ampia definizione di “noia”: “La
noia infatti può essere descritta come un' avversione per le esperienze
ripetitive di ogni tipo, per il lavoro routinario, per le persone noiose o stupide",
inoltre gli autori della ricerca affermano che "In genere è caratterizzata
anche dalla presenza di irrequietezza, che insorge quando all' individuo non è
possibile allontanarsi dalla fonte della noia". Gli psicologi che
descrivono questo stato d'animo ne parlano come di un sentimento che insorge in
seguito al venir meno dell' attività, delle relazioni interpersonali e di tutte
le altre possibili situazioni solitamente stimolanti per l' individuo. In
questo articolo però bisogna notare che noia ed ozio sono sinonimi, anche se
tecnicamente non dovrebbe essere proprio così.
Infatti, seppur la
società releghi l’ozio a semplice sinonimo di noia, come abbiamo visto fino ad
ora, questo non è propriamente corretto. Quindi, prendendo in considerazione
l’aforisma di Kafka “L'ozio è il padre di tutti i vizi, ed è il coronamento di
tutte le virtù” si può fare un’analisi molto più chiara di questo termine così
ambiguo. Infatti analizzando la citazione si può ben comprendere come l’ozio
sia allo stesso tempo “padre di tutti i vizi” e “coronamento di tutte le
virtù”. Ciò è possibile in quanto questo termine può trovare un’accezione
negativa o positiva in base all’utilizzo che si fa del tempo passato ad
“oziare”. In altre parole l’ozio risulta essere il “padre di tutti i vizi”
quando si trasforma in noia, ossia quando crea nell’individuo un continuo stato
d’insoddisfazione verso ciò che lo circonda; mentre diventa “coronamento di
tutte le virtù” nel momento in cui ricopre il suo originale ruolo di momento
riflessivo privilegiato, dedicato alla propria cura personale (che sia essa
intellettuale, fisica o spirituale).
Pertanto l’ozio,
inteso nel suo senso più antico (e per certi versi più corretto ed equilibrato)
diventa tutt’altro che superfluo, anzi al contrario, risulta essere necessario
all’uomo in quanto come disse la scrittrice britannica Virginia Woolf “nell'ozio,
nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta a galla.”. Quindi, pur
dovendo andare contro quell’inarrestabile fiume in piena che è lo scorrere del
tempo e della modernità nella società contemporanea, è bene per l’uomo
dedicarsi ogni tanto all’ozio per ritrovare se stesso o quanto meno per cercare
di non perdersi in una frenesia che non lascia più né spazio né tempo a nulla.
A tal proposito è interessante contrapporre alla definizione di ozio data
dall’enciclopedia Treccani.it un’altra definizione, senza dubbio più concisa e
meno enciclopedica ma forse più diretta; infatti lo scrittore statunitense Amrbose
Bierce lo ha espresso in questo modo: “Ozio: Intervalli di lucidità nei
disordini della vita.”.
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