giovedì 26 marzo 2015

Blog#quattordici: C'era una volta il cinema italiano ...


Quando parliamo di cinema italiano di cosa stiamo parlando di preciso? Innanzitutto va detto che per convenzione si fa risalire la nascita del cinema italiano alla prima proiezione pubblica del Cinématographe, avvenuta il 13 marzo 1896 presso lo studio Le Lieure di Roma. Da quel momento in poi furono sempre di più gli autori che portarono avanti nel nostro Paese questo nuovo modo di esprimersi per immagini in movimento. Era quindi iniziato un lungo sodalizio che legava l’Italia a questa nuova forma d’arte ed il manifesto “La nascita della settima arte” pubblicato nel 1921 in cui venne prevista la portata rivoluzionaria del cinema, non è un caso che fu scritto proprio da un italiano, l’illustre critico cinematografico Ricciotto Canudo. Tuttavia i tempi d’oro del cinema italiano durarono solo fino agli anni ’80, periodo in cui il cinema americano era in crescita esponenziale e aveva scavalcato ormai anche in questo campo le nazioni europee, purtroppo però all’ascesa statunitense si andò ad aggiungere anche l’improvvisa crisi del cinema italiano mettendo in ginocchio il nostro modo di fare cinema, relegandolo ai margini dell’interesse mondiale ed è qui che per certi versi è relegato ancora oggi.
Ma cosa in quella stagione aveva condannato il cinema italiano? La perdita di una propria identità. Per recuperare la propria qualità quindi, il nostro cinema doveva in qualche modo ricominciare, soprattutto doveva farsi riconoscere fuori dai confini. Gli anni ottanta hanno ospitato validi autori e buoni titoli ma non sono riusciti a dare un respiro internazionale alle loro opere. Questa situazione è quindi perdurata fino ai giorni nostri in cui il cinema italiano non riesce più a tener testa al grande cinema internazionale come dovrebbe e come, per certi versi, potrebbe fare. Purtroppo la globalizzazione sempre più onnipresente nella vita di tutti i giorni sta condizionando negativamente il nostro cinema che si trova schiacciato dalla concorrenza prepotente del cinema americano. Infatti il gran numero di pellicole distribuite dai colossi dell’industria cinematografica invadono spesso il mercato a discapito dei film italiani che, seppur validissimi e di enorme bellezza, si trovano ad essere visti da un pubblico immeritatamente esiguo. Se ci si pensa il nostro cinema degli anni d'oro è stato grande proprio perché era fuori dal sistema, oggi invece i film che sono fuori dal sistema hanno poche possibilità di emergere.


Per questo motivo sono sempre di più coloro che hanno perso fiducia nel cinema italiano e rifiutano quasi a prescindere le pellicole “made in Italy” fermandosi ad esprimere critiche superficiali. Tuttavia in Italia abbiamo una grande tradizione che tutto il mondo ci invidia e ci imita, oltre che un gusto ed una sensibilità unici ed inimitabili che ci caratterizzano in tutto il mondo e non è un caso che fra i premi cinematografici più importanti al mondo uno sia proprio italiano. Purtroppo il cinema in Italia sta conoscendo un declino non comune per vari motivi ed ancor peggio è il fatto che gli unici film che riescono a sopravvivere siano piuttosto delle mascherate grottesche buone solo a fare botteghino e nulla più, degli esperimenti di bassa lega adatti al grande pubblico senza pretese. Ma sono queste le cose che la gente vede, la punta sporca di un iceberg che non riesce ad emergere se non attraverso la sua parte peggiore. Eppure la vittoria agli  Oscar negli ultimi vent’anni di ben due film italiani ( “La vita è bella” e “La grande bellezza”) ci dovrebbe far riflettere che in fondo il grande cinema italiano esiste ma è nascosto e fa fatica a mostrarsi, offuscato da tutto il cinema-spazzatura che si riversa incessantemente sugli schermi dei grandi multiplex. Per questo motivo non è corretto dire che il cinema italiano è morto, va detto piuttosto che “c’era una volta il grande cinema italiano … “ lasciando quindi spazio all’aggiunta di un eventuale conclusione del tipo: “e c’è ancora oggi”.

Blog#tredici: Eroi senza nome


Non ci si pensa mai, eppure ogni giorno siamo circondati, per un motivo o per un altro, da decine di persone che non conosciamo e che ci risultano essere tutti ugualmente indifferenti (basti pensare a quando siamo per strada, in pullman o in un supermercato). Tuttavia se ci si ferma un attimo a riflettere, si capisce che non siamo proprio tutti uguali e che fra la gente comune talvolta si nasconde anche qualche “eroe senza nome”.
Nelle nostre città infatti esistono degli “eroi invisibili” che vivono le loro vite come persone comuni (non hanno alcun superpotere ma sono molto più reali dei supereroi dei fumetti) e che ogni giorno danno prova del loro valore nell’anonimità della vita quotidiana, sacrificando se stessi per il bene del prossimo e della collettività. Naturalmente, ponendo l’attenzione su questo genere di persone non si vuol certo sminuire la grandezza di tutti quegli uomini che hanno dato la propria vita per qualcosa di più grande di loro e che sono stati riconosciuti eroi, passando alla storia come tali (Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Nelson Mandela, Giuseppe Garibaldi, Re Leonida, ecc… )
Tuttavia, oltre a questi “grandi eroi” esistono, appunto, anche molti “piccoli eroi” a cui non si pensa, ma che nella monotonia di ogni giorno danno forza e struttura alla società, proteggendola dai pericoli esterni e talvolta persino da se stessa. E’ di questi individui che si vuole parlare in questo articolo. Infatti se da un lato non è facile vivere nella società moderna (a causa di eventi naturali o artificiali come ad esempio epidemie, catastrofi o guerre), dall’altro lato ci sono sempre dei “fattori” che evitano lo sprofondamento nel caos. Ma tutto ciò com’è possibile? E’ qui che entrano in gioco quelli che, nel titolo, abbiamo chiamato “eroi senza nome”. Capire chi siano questi individui diventa quindi immediato, in quanto essi sono tutte quelle persone che svolgono lavori socialmente necessari e non soltanto socialmente utili. Infatti se è vero che ogni occupazione risulta essere, a modo suo, utile alla società; essa non sempre è anche necessaria come invece lo sono altre. Quindi in questa categoria troviamo: vigili del fuoco, forze dell’ordine (Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Carabinieri, ecc.), volontari di associazioni umanitarie (come ad esempio Emergency, Medici Senza Frontiere e Croce Rossa), fotoreporter e giornalisti che operano in zone pericolose (per lo più di guerra), giusto per citarne alcuni. Tutti questi “tipi” di persone sacrificano ogni giorno i propri interessi privati, il proprio tempo, talvolta anche i propri affetti, per dei valori collettivi che vanno oltre se stessi e che richiedono continui sacrifici personali e la prontezza a sacrificare, qualora fosse indispensabile, anche la propria vita. Tutti questi uomini e donne sono eroi, anche se raramente sono considerati tali e quasi mai ci si ricorda di loro. Sono eroi perché costituiscono la garanzia di stabilità della società e perché la mantengono in vita.
A questi eroi vanno poi aggiunti tutti quegli individui che, anche se non gli vengono richiesti sacrifici estremi, costruiscono e costituiscono, lontano dai riflettori, le fondamenta della società e qui troviamo: operai, insegnanti (fino alla scuola secondaria), infermieri e operatori del settore sanitario, volontari di centri di assistenza o recupero (per malati, anziani o tossicodipendenti), operatori ecologici, ecc…

Pertanto risulta essere solo grazie a questi eroi “invisibili” e “senza nome” se la grande macchina sociale si mantiene in vita e continua ad esistere nonostante ogni crisi e difficoltà. Infatti proprio come in ogni grande opera architettonica un singolo mattone sembra essere incredibilmente simile agli altri e apparentemente insignificante in sé; esso è in realtà un pezzo unico ed insostituibile, indispensabile per la realizzazione e il mantenimento dell’opera stessa.

Blog#dodici: Uomo e tecnologia


L’uomo sin dagli albori ha sempre cercato di superare se stesso accrescendo le proprie conoscenze in ogni campo del sapere. Questa sua sete di scoperta ha portato singoli uomini o intere civiltà a dar vita ad infinite invenzioni che hanno caratterizzato intere epoche e periodi storici, spesso modificando il tessuto stesso della società e quindi determinandone costumi e cultura. L’umanità ha conosciuto la sua straordinaria storia evolutiva grazie all’inarrestabile susseguirsi di ricerche e innovazioni tecnologiche ed è quindi assodato il ruolo fondamentale che da sempre questi fattori hanno svolto nel processo di miglioramento della specie. Tuttavia se da un lato la tecnologia risulta essere, con un’accezione estremamente positiva, alla base dell’evoluzione, dall’altro lato ha dato origine in varie occasioni anche a situazioni profondamente negative.
Per poter spiegare meglio questo concetto va preso in analisi il frequente rapporto che si instaura fra la scoperta di nuove tecnologie e il loro repentino utilizzo in ambito militare. Infatti in ogni epoca le scoperte fatte in ambito civile sono sempre state manipolate e perfezionate in modo tale da poter essere utilizzate nell’industria bellica e in generale per favorire il progresso delle tecnologie militari. Facendo un esempio possiamo prendere in considerazione i primi utensili fabbricati dagli uomini primitivi che consistevano in pietre, generalmente di selce, scheggiate su di una faccia e quindi rese taglienti. Inizialmente questi utensili venivano utilizzati per facilitare le azioni quotidiane, fin quando non ci si rese conto che fissandoli in cima a dei bastoni si trasformavano in lance e potevano essere utilizzati anche per altri scopi come la caccia oppure per difendersi dalle bestie feroci, fin qui il loro utilizzo risulta essere estremamente positivo e vantaggioso per la razza umana. Tuttavia ci si accorse presto che esse non erano più soltanto utensili ma armi che potevano essere utilizzate oltre che per difendersi da animali selvaggi anche per attaccare altri uomini nel tentativo di sopraffarli. E’ in questo momento che, con l’uso “improprio” delle sue scoperte, l’uomo ha dato inizio a quel processo che vedrà il continuo susseguirsi nella storia di vari scontri fra “tecnologia positiva” e “tecnologia negativa” e che generalmente viene chiamato progresso. Pertanto il progresso non sempre si rivela essere favorevole all’uomo e ciò accade per via delle conseguenze derivanti dal cattivo uso della tecnologia. Perciò se prima si è parlato di tecnologia “positiva” e “negativa” lo si è fatto in modo improprio in quanto le scoperte tecnologiche in sé non sono né positive né negative, ma possono risultare tali in base al buono o cattivo uso che ne viene fatto.
Riconducendo il discorso all’ epoca moderna la nostra attenzione si concentra sui nuovi settori che l’evoluzione tecnologica ci ha portato a scoprire quali, ad esempio, l’informatica. Per cui ai vecchi utensili in legno e pietra come lance e amigdale, si sostituiscono oggi computer e smartphone che, pur essendo strumenti sideralmente distanti dai primi, sono soggetti alle stesse “leggi” di questi. Infatti sempre più spesso vengono condannate le nuove tecnologie per il loro presunto influsso dannoso sulla nostra società, senza tener conto del fatto che il problema di fondo non è la tecnologia in sé ma l’utilizzo sbagliato che viene fatto di essa. Quindi il problema reale non è lo smartphone o internet, ma l’incapacità della maggior parte degli individui di utilizzare certi strumenti nel modo giusto, cioè senza esserne condizionati in modo quasi patologico.

Pertanto l’inadeguatezza dell’uomo di fronte alla tecnologia risulta riassumibile in due situazioni: o egli ne fa un uso improprio andando a favorire la guerra e la distruzione; oppure si lascia assorbire dalla tecnologia in modo tanto viscerale da giungere gradualmente ad una situazione di sempre maggiore dipendenza da essa.